Spesso nel Vangelo secondo Giovanni Gesù parla di se mediante immagini tratte dalla vita comune. Ogni volta le introduce con l’affermazione “Io sono”, dal sapore biblico perché richiama l’autodefinizione di Dio a Mosé.
Esempi sono le affermazioni “Io sono l’acqua fresca” (Gv 4); “Io sono il Pane vivo” (Gv 6); “Io sono la luce del mondo” (Gv 9); “Io sono il Buon Pastore” (Gv 10); “Io sono la risurrezione e la vita” (Gv 11), e nel brano proclamato oggi “Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15).
Quest’ultima allegoria assume la ricca tematica profetica della vite come immagine del popolo di Dio: vigna scelta, strappata all’Egitto e trapiantata (Salmo 80), coltivata con cura e amore dal Signore, che da essa attende frutti (Isaia).
Dio è il vignaiolo che ama la sua vigna ma da essa è frustrato (Isaia e Geremia); piange la sua vigna, un tempo rigogliosa ma ora bruciata (Osea ed Ezechiele); invocato in soccorso della sua vigna devastata e recisa (Salmo 80).
Pertanto, utilizzando questa immagine, Gesù ricapitola in sé tutta la storia del popolo di Dio, assumendo i suoi peccati e le sue sofferenze.
Nella similitudine della vite e dei tralci possiamo cogliere anche una rivelazione trinitaria: il Padre è l’agricoltore, il Figlio è il tronco, lo Spirito Santo è la linfa vitale e amorosa nel seno della Trinità e nel cuore dei discepoli, che sono i tralci.
Qui la rivelazione diventa sconvolgente: grazie a Gesù, nell’unione a lui diventiamo anche noi parte del mistero della Trinità, come i tralci sono tutt’uno con la vite.
La nostra vita, inoltre, porta frutto solo finché ogni opera è intimamente legata a Gesù, attraversata dall’amore dello Spirito Santo e potata dalla verità del Padre.
Don Michele Fontana