Gesù si trova in Sinagoga; molto probabilmente gremita di fedeli perché è sabato, giorno dedicato al culto.
Scorge una donna silenziosa, in disparte; sola con il pianto segreto del cuore: da diciotto anni soffre di una terribile malattia che le impedisce di stare ritta.
Il corpo, deforme e ricurvo, le vieta di incrociare lo sguardo degli occhi e del cuore con tanta gente.
Gesù si accorge: la vede, la chiama a sé, la guarisce.
Questi tre verbi (vede, chiama, guarisce) mostrano un itinerario di vicinanza, fatto di comprensione, amore, volontà di liberazione da tutto ciò che “ricurva”.
Quella donna è , infatti, immagine di chiunque ha bisogno di essere liberato dall’egoismo, che rende curvi e inchioda lo sguardo a terra, fissandolo esclusivamente sui propri piedi, i propri problemi, le proprie esigenze.
Quello sguardo forzato verso il basso impedisce, così , di vedere il volto degli altri, scorgerne il sorriso, decifrarne l’espressione che cela paure, ansie, apprensioni, gioie.
Quello sguardo sequestrato soffoca gli orizzonti, costringe il respiro, vietando al cuore di immergersi nella bellezza del creato, coccolarsi negli affetti familiari, allietarsi con la gioia delle amicizie.
Quello sguardo ricurvo, da una parte proibisce di vedere gli altri, dall’altra vieta agli altri di vedere noi. Proprio come quella donna. Quel sabato. In sinagoga.
Al contrario, Gesù vede e chiama a sé per far stare ritti, e godere della bellezza della vista da risorti (risorgere significa “re-sorgere”, rimettersi ritti).
Don Michele Fontana