Nell’Antico Testamento la lebbra era considerata un castigo di Dio per i peccati. I lebbrosi non destavano alcuna compassione e dovevano vivere lontano dai villaggi, emarginati: nessuno poteva avvicinarsi a loro, e loro non potevano avvicinarsi a nessuno.
Erano ritenuti “morti viventi“.
Considerati morti nel corpo, perché la malattia li consumava lentamente.
Considerati morti nello spirito, perché giudicati peccatori.
Considerati morti socialmente, perché non potevano avere rapporti con altri.
Un giorno un lebbroso si avvicina a Gesù e lo supplica disperatamente, in ginocchio: “Se vuoi puoi purificarmi“.
Non chiede di essere guarito. Chiede almeno il contatto con Dio perché la religione lo ha posto in una situazione disperata condannandolo come “impuro“.
Gesù risponde: “Lo voglio, sii purificato”. E subito la lebbra scomparve.
Di quel lebbroso non è citato il nome. Si tratta di un artifizio letterario che i Vangeli utilizzano perché ciascun lettore possa identificarsi.
Ci sono situazioni di peccato che ci avvicinano alla morte.
Ci avvicinano alla morte del corpo, perché causa di malattie o perché sono nocive in se stesse.
Ci avvicinano alla morte dello spirito, perché fanno diminuire in noi l’amore, la gioia, i desideri di bene, la vicinanza agli altri, la solidarietà e ogni altra virtù.
Ci avvicinano alla morte sociale, perché distruggono le nostre relazioni con gli altri.
In quel lebbroso, allora, anche noi siamo invitati a rivolgerci a Gesù gridando: “Se vuoi puoi purificarmi“.
Don Michele Fontana.