La prima lettura di questa domenica riporta la narrazione della vocazione di Samuele, posta all’inizio del libro della Bibbia a lui stesso intitolato.
Il futuro profeta, allora ragazzino, dormiva nel tempio. Una notte sentì chiamare il suo nome. Confuse la voce con quella del sacerdote Eli a cui era stato affidato, e andò da lui per servirlo. Il sacerdote gli rispose di non averlo chiamato, così tornò a dormire.
Questo equivoco si ripeté per tre volte. Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane e gli disse:
“Vai a dormire e, se ti chiamerà, dirai: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta“.
Così avvenne. Così iniziò la meravigliosa avventura di uno dei più grandi profeti della Bibbia.
Il racconto conclude:
“Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole”.
A tre riprese Samuele confuse la voce del Signore con quella di Eli; voce paterna di colui che si rivolgeva al ragazzo come “figlio”; voce sapiente che lo aiutò a riconoscere Dio e dialogare con lui.
In questo episodio possiamo riscoprire la figura della guida spirituale, voce paterna che quasi si confonde con quella di Dio ma che resta sempre al di qua del sacrario della coscienza, fornendo solo le coordinate per permettere l’incontro con il Signore; aiutando a riconoscerne la voce; suggerendo le parole da dire.
Dopo aver riferito che Samuele iniziò il dialogo con Dio, il racconto aggiunge che “il Signore fu con lui e non lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole”.
Da ragazzo che ascolta divenne uomo che parla. Ciò che il testo tradurrà successivamente con: «Tutto Israele seppe che Samuele era stato costituito profeta del Signore».
Viene così espresso il cambiamento che deve riconoscersi in ogni persona che incontra veramente il Signore: passare da ragazzo che ascolta (con l’entusiasmo e lo stupore dei ragazzi) a uomo che parla, soprattutto con la vita.
Finché i nostri gesti, la nostra storia, le nostre opere non parlano di Dio e a Dio, non potremo pensarci veri cristiani.
Don Michele Fontana