C’è stato un momento nella storia in cui il calendario ha fatto un balzo di dieci giorni. In quel momento ogni respiro, ogni battito di ciglia, ogni schiocco di dita, in tutto il mondo è “durato” dieci giorni.
Era la notte del 4 ottobre 1582. Una bolla di papa Gregorio XIII, per riallineare i giorni annuali (equinozi, solstizi, ecc.) con l’anno solare, sfasati a causa di piccole imperfezioni nel calendario in vigore (Giuliano), stabilì che a mezzanotte si passasse direttamente alla data del 15 ottobre (e non del 5).
Così, santa Teresa d’Avila, morta proprio in quelle ore, diede l’ultimo sguardo a questo cielo il 4 ottobre, per aprirlo, contemplando l’altro Cielo, il Paradiso, il 15 ottobre 1582.
Aldilà di questa particolarità del suo beato transito, la carmelitana spagnola è rimasta nella storia soprattutto per una elevata santità intessuta di preghiera.
Definita da teologi e papi “maestra di preghiera”, invitava a viverla come espressione di tenera amicizia. Con l’esempio e gli scritti insegnava a pregare non ripetendo mnemonicamente formule svuotate di affetto, ma ponendosi cuore a cuore con il Signore, parlando come fa un amico con un altro amico, un innamorato con il proprio amante:
“L’orazione mentale non è altro che un rapporto d’amicizia, trattenendoci spesso soli a tu per tu con chi sappiamo che ci ama”.
La santa d’Avila, inoltre, insegnò a legare l’efficacia della preghiera con la coerenza della vita, manifestando un dubbio: se l’esistenza non è autentica come può esserlo la preghiera?
Don Michele Fontana