La festa ebraica della Dedicazione prevedeva otto giorni di solenni celebrazioni per fare memoria dell’impresa di Giuda Maccabeo che nel 164 a. C. liberò il Tempio e Gerusalemme dalle profanazioni del re Antioco IV di Siria.
Durante i festeggiamenti molto probabilmente si leggeva il libro del profeta Ezechiele con il discorso sui buoni e cattivi pastori riferito ai re e ai capi del popolo, spesso additati come guide cieche, preoccupate solo di sé e noncuranti delle sorti dei sudditi.
Nel brano del Vangelo proclamato questa domenica, Gesù, nel contesto dei festeggiamenti della Dedicazione, richiama la metafora del pastore e la riferisce a se, presentandosi come modello di ogni guida.
Nella seconda lettura, invece, Cristo si mostra come Agnello immolato e risorto.
Gesù è pastore ed è anche agnello; anzi, è il “bel pastore” proprio perché è agnello immolato.
Due immagini che parlano di lui, ma anche di noi, soprattutto nel ruolo di guide (spirituale, religiosa, civile, familiare, ecc.): si è veramente “buoni pastori” solo da agnelli immolati, cioè solo se si è pronti a dare la vita per gli altri.
Ora, la domanda che lasciamo in sospeso per stimolare la riflessione personale di ciascuno è: Che significa per me dare la vita per le persone che mi sono affidate?
Don Michele Fontana