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Lo stigma sociale

Mentre Gesù, insieme ai discepoli, è in cammino verso Gerusalemme, dieci lebbrosi gli si avvicinano.

I lebbrosi erano considerati scarti della società, emarginati e condannati alla segregazione come maledetti da Dio e dagli uomini; secondo la Legge, hanno il peccato scritto sulla pelle.

Un comportamento sociale che a prima vista condanniamo unanimemente. Eppure, se ci guardiamo intorno, in questi giorni di pandemia lo vediamo reiterarsi con estrema facilità: appena una persona, o un suo familiare, è trovata positiva al Covid 19, irrompe subito lo stigma sociale, con pettegolezzi, emarginazione, insulti nascosti, giudizi e condanne velati di ipocrisia. Siamo tutti pronti, assisi sulla cattedra dei tribunali social, ad additare il “peccato” di chi a nostro insindacabile parere si è lasciato infettare, ed è diventato pericoloso “untore”.

Quei dieci lebbrosi, senza avvicinarsi a Gesù, gli gridavano: “Maestro, abbi pietà di noi!”. Ed egli, mosso a compassione, diede un ordine che può sembrare enigmatico: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. I sacerdoti, infatti, avevano il compito di certificare la guarigione dalla lebbra.
In pratica, Gesù chiese di credersi già guariti, mentre vedevano e sentivano ancora addosso i segni terribili della malattia.
Sempre il Signore invita ad avere fiducia in lui e nel suo intervento proprio mentre sentiamo ancora addosso le ferite delle sofferenze.

Ed ecco che “mentre essi andavano, furono purificati”.

Il racconto potrebbe finire qui, e invece prosegue. Tra i dieci lebbrosi guariti, uno era samaritano, a differenza degli altri nove che erano giudei. I samaritani erano ritenuti eretici e, perciò, disprezzati.
Eppure tra i dieci, solo quello samaritano, tornò per ringraziare.
Gesù rimase deluso. Non perché gli altri non fossero tornati a ringraziarlo, ma perché il loro cammino di fede si era arrestato alla guarigione, senza accogliere la grazia del Signore.
Erano guariti ma non salvati.

Evitiamo anche noi di cadere nell’errore di quei nove guariti.
Quest’estate ne abbiamo avuto una prova: avevamo implorato al Signore la guarigione dalla pandemia; eppure quando tutto ci è sembrato incamminarsi verso la fine, ci siamo velocemente dimenticati di Gesù e di tutti i buoni proposti (su scelte, stili di vita, comportamenti, ecc.) che avevamo fatto in quei giorni di sofferenza. Anzi, verrebbe da dire che in alcuni casi siamo tornati peggio di prima.

Il racconto del Vangelo, allora, sembra invitarci a correre con fede a Gesù per chiedere la guarigione dalla “lebbra” del Coronavirus e da ogni altra sofferenza, ma anche a non dimenticarci di cercare, con il suo aiuto, la guarigione dai virus della cattiveria e dell’indifferenza.

Don Michele Fontana