Nel Vangelo di oggi, Gesù tramuta un episodio storico dell’epoca in una parabola (Lc 19,11-28).
Si tratta di quanto accaduto ad Erode il Grande che qualche decennio prima era andato a Roma per ricevere l’investitura di Re della Palestina. Alla gente questa scelta non piaceva e fu invitata un’ambasceria fino alla Capitale dell’impero con l’intento di dissuadere.
Sulla base di questo riferimento di cronaca nasce il racconto del Signore che parla di “un uomo di nobile stirpe che partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato“. Il primo riconsegnò la mina insieme ad altre dieci che nel frattempo aveva fatto fruttare; il secondo la riconsegnò insieme ad altre cinque; un altro, invece, la riportò da sola: non l’aveva fatto fruttare.
I primi due furono premiati, mentre il terzo fu biasimato.
L’insegnamento della parabola è abbastanza chiaro: i servi siamo tutti noi; a ciascuno è stata consegnata una mina, che è la sua vita.
Alla fine della nostra esistenza ci sarà chiesto, singolarmente, di rendere conto di cosa avremo fatto della nostra mina, cioè della vita e di tutti i doni ricevuti.
Chi si sarà chiuso in sé per paura di dissipare il poco che ha, perderà anche quella mina.
Chi invece avrà messo in gioco la propria vita, e con esse e in essa le proprie qualità, i doni, le attitudini, i talenti, il tempo, gli spazi, le conoscenze, i beni, riceverà come ricompensa la benedizione di Dio.
Don Michele Fontana