Mentre Gesù percorreva i villaggi della Galilea, si soffermava a guarire i malati. L’annuncio della parola si faceva carità concreta; e la prima forma di carità era annunciare la Parola del Padre. Le due cose non possono essere separate.
Il Vangelo di oggi ricorda che, un giorno, vedendo le folle, Gesù “ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!”.
In quegli aggettivi “stanche” e “sfinite” mi pare di vedere le “folle” di oggi, la maggior parte della gente, esausta, soprattutto psicologicamente, dalla lotta contro il Coronavirus. In quegli aggettivi scorgo chi è prostrato dalle paure, chi è messo in ginocchio dalla malattia, chi è demoralizzato per le difficoltà economiche, chi è annichilito dalla mancanza di lavoro, chi è depresso dalla solitudine.
La prima buona notizia di oggi è che Gesù non li dimentica: i suoi occhi sono rivolti ad essi e ne sente compassione.
La seconda, legata a questa, viene da un particolare sul quale, almeno io, non mi ero ancora soffermato.
Nel vedere tanta sofferenza Gesù disse ai discepoli : “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai”, e li invitò a pregare.
Da sempre, e a giusta ragione, questo versetto è interpretato in chiave vocazionale. Tuttavia ora vorrei soffermarmi su un altro aspetto.
Messe è sinonimo di mietitura, operazione del falciare e raccogliere il grano. Gesù non parla di terreno sterminato da lavorare, ma di molto grano già biondeggiante e pronto per essere raccolto.
Quel che stupisce è che quel popolo stanco e sfinito, al quale è urgente inviare operai, sia definito messe, campo maturo, già pronto.
Difronte alla sofferenza, mentre noi, scoraggiati, ci soffermiamo sulla falce che miete, Gesù vede il grano della sua grazia con cui può riempire i nostri covoni.
L’umanità, e in essa tutti noi con le nostre piaghe e le nostre miserie, siamo preziosi agli occhi di Dio, siamo campo maturo!
Don Michele Fontana