Ho appena letto un libro dal titolo “Khalifa, un immigrato da medaglia” (di Daniele Nicastro).
Il racconto mi ha molto emozionato e mi ha fatto riflettere.
Tutti lo chiamano “eroe”, ma il suo vero nome è Sobuj Khalifa ed è un ragazzo originario del Bangladesh.
La sua famiglia è povera e numerosa: è cresciuto in una baracca sul fiume e all’età di 7 anni ha iniziato a lavorare.
Ha sempre sognato un futuro migliore.
Un incontro con un italiano gli cambia la vita.
Arriva in Italia, a Roma, con il fratello Galala in cerca di una vita migliore, ma rimane deluso, si sente un fallito, senza una casa, senza lavoro, senza futuro.
Si nasconde e vive nella fognatura romana e sulle sponde del Tevere.
È un invisibile tra gli invisibili.
La sua vita cambia quando un giorno, mentre lava i suoi vestiti sporchi nel fiume, vede una donna che galleggia sull’acqua, spinta dalla corrente. Khalifa non esita un attimo e si tuffa per salvarla. La donna è ancora viva.
Da quel momento la vita di Khalifa cambia totalmente: interviste, televisioni ….
Tutti lo lodano.
Khalifa è “una di quelle persone che non hanno niente, eppure sono capaci di dare tutto. Gente semplice, da cui ogni malintenzionato, italiano o straniero, ma anche ognuno di noi dovrebbe imparare il valore della vita e della generosità“.
Questa è una delle riflessioni che più mi è rimasta impressa e mi ha colpito tanto.
Il grande insegnamento di questo bellissimo libro, che mi è arrivato fino al cuore, è che siamo tutti fratelli e dobbiamo aiutarci gli uni con gli altri. Siamo tutti uguali senza distinzione di razza, lingua, religione.
Prendiamo esempio da queste azioni, come quella di Khalifa, e impariamo a seminare amore e fratellanza e non odio e razzismo per capire il vero significato della vita.
Tutti abbiamo diritto a sognare perché siamo tutti cittadini del mondo.
Pensando al cammino scout dico che siamo tutti figli di Dio e che ci dobbiamo amare l’uno con l’altro e aiutarci come fratelli.
Tommaso Rotundo