La prima lettura di oggi apre con una domanda del Qoèlet:
Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole?
Una domanda che ritornerà nel libro più volte, accompagnando i lettori alla conclusione che spesso anche noi ripetiamo guardando come procede la vita:
Che vantaggio ne viene da tutta la fatica spesa per essere saggio (1,17), per fuggire l’empietà (8,10ss), ricercare la gioia (2,2), comportarsi bene (6,8)? Non ne viene niente in cambio, non c’è alcun profitto, gli empi spesso guadagnano di più, sembrano vivere meglio (8,14), l’egoista e l’avaro prosperano, e nessuna fatica che l’uomo compie sotto il sole è in grado di cambiare il corso delle cose (1,15).
Una risposta di questo tipo appare scandalosa. Al contrario, leggendo con attenzione il testo emerge un inno alla gioia:
Sta’ lieto, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. Segui pure le vie del tuo cuore e i desideri dei tuoi occhi. E sappi (però) che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio.
La gioia non nasce dall’assenza di difficoltà, che sono inevitabili sotto il sole, ma dal riconoscere la presenza di Dio e i suoi doni. La gioia fiorisce dove si è capaci di ringraziamento, indossando l’abito della purezza e il profumo della carità:
Và, mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto, perché Dio ha gia gradito le tue opere. In ogni tempo le tue vesti siano bianche e il profumo non manchi sul tuo capo.
Don Michele Fontana