Gesù, con una barca, giunge insieme ai discepoli sulla riva opposta a Cafarnao (Marco 5,1-20).
Appena salpati gli va incontro un indemoniato che da tempo semina terrore nel comprensorio gridando giorno e notte. Hanno tentato molte volte di legarlo con catene e ceppi, ma ha spezzato le prime e spaccato i secondi. Nessuno riesce a domarlo.
Giunto da Gesù lo scongiura di non tormentarlo.
Colui che tormenta un intero territorio implora Gesù di non essere tormentato!
Il Signore comprende subito che è un indemoniato. Gli chiede il nome.
“Il mio nome è Legione – risponde – perché siamo in molti“. E lo supplica di mandarlo in una mandria di circa duemila porci che sta pascolando poco vicino. Glielo permette, cosicché gli spiriti impuri entrano in quei porci, che si precipitano dalla rupe nel mare.
I mandriani fuggono terrorizzati e portano la notizia ovunque. Da ogni parte accorre gente per vedere cosa sia accaduto. Giunti da Gesù, vedono quell’uomo seduto, vestito e sano di mente. Tuttavia avviene qualcosa d’incomprensibile: invece di gioire e far festa, hanno paura, tanto da pregare il Signore di andare via.
Quest’episodio mi lascia sempre un po’ turbato: Gesù compie un’azione di grande umanità ed elevato significato religioso e spirituale ridando vita e dignità a un uomo, dimostrando di essere più forte di ogni male e poter sconfiggere il Maligno … ma la gente del luogo cosa fa? Ha paura! Addirittura gli chiede espressamente di andarsene.
Che tristezza! La gente ha più paura del bene che terrore del male.
Come mai così tanta paura? Credo sia dovuta al timore di affrontare le conseguenze “economiche”: sono più preoccupati di perdere altri porci che ritrovare sane e salve altre persone!
Un po’ come avvenne al popolo di Israele durante l’Esodo, quando mormorava contro il Signore dicendo che avrebbe preferito rimanere schiavo in Egitto piuttosto che affrontare gli stenti che comportano l’attraversamento di un deserto.
Un po’ come avviene ogni volta che abbiamo paura di seguire un percorso di giustizia, di verità, di amore e di fede, per non affrontare i sacrifici che sono richiesti. Preferiamo rimanere incatenati agli errori e alle negatività piuttosto che tentare di cambiarli.
Un po’ come avviene per tante persone che non hanno coraggio o forza di lottare per liberarsi da situazioni di sopruso, violenza o discriminazione (sia individuale che sociale) per il terrore di probabili ripercussioni su se stessi o sui familiari. Paure che consentono a criminali di perpetuare i propri misfatti nelle famiglie, nei luoghi di lavoro e ovunque nella società, e che sono il nutrimento dell’omertà rendendo sempre più forti le realtà malavitose.
Don Michele Fontana