Giona era stato inviato da Dio per esortare la città di Ninive alla conversione. Aveva cercato di resistere alla missione sapendo che quegli acerrimi nemici una volta ravveduti avrebbero trovato la misericordia di Dio e quindi sarebbero sfuggiti alla distruzione. La carne e il sangue si opponevano al mandato, ma ha dovuto cedere al volere di Dio.
Quasi otto secoli dopo, alle pendici del monte Hermon Gesù si rivolge a Pietro,《Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli… A te darò le chiavi del regno dei cieli》.
Figlio di Giona è un modo solenne con cui Gesù chiama Pietro quando deve conferirgli una missione. Anche dopo la Risurrezione, sul lago di Tiberiade, prima di affidargli le sue pecore gli chiede, e per tre volte, 《Simone, figlio di Giona, mi ami?》.
Intende, infatti, sottolineare la solennità delle affermazioni chiamando Pietro in modo ufficiale, con nome e paternità.
In quel richiamo alla carne e al sangue, segno della nuda umanità, possiamo tuttavia intravedere una straordinaria sintonia della vocazione dell’apostolo con quella del profeta.
Come Giona, anche Pietro può guidare la Chiesa se supera gli istinti dell’umana fragilità e si fa ispirare da Dio.
Dopo venti secoli questa vocazione è rivolta a noi con le stesse parole.
Simone (Michele, Alessandro, Ines, Aurora… ognuno può inserire il proprio nome), figlio di Giona, a te affido le chiavi della vita di chi ti sta vicino, dei familiari, degli amici, dei ragazzi. Non lasciarti dominare dalla carne e dal sangue, dall’istinto e dai capricci, dalle fragilità e dalle passioni, ma segui quello che il Signore ti indicherà.
Sarai, così, beato, felice perché renderai felici gli altri.
Don Michele Fontana