Quando si reca a Gerusalemme, Gesù spesso si ferma a Betania, ospite di tre fratelli: Lazzaro, Marta e Maria.
Nel brano del Vangelo di oggi, nell’accoglierlo in casa, Marta, donna attiva, si sente impegnata a preparargli una tavola degna di un rabbì, ed è assorbita dai tanti servizi.
Maria, invece, si mette ai suoi piedi per ascoltare. Assume, così, la postura tipica del discepolo.
La tradizione rabbinica affermava: “La tua casa sia un luogo di riunione per i sapienti; attaccati alla polvere dei loro piedi e bevi assetato le loro parole”. Ma questo compito era riservato agli uomini, non alle donne. Ciò sarebbe scandaloso.
Il gesto di Maria è quindi coraggioso: si fa discepola, sicura che Gesù non la respingerà.
Il racconto, dunque, al di là della sterile contrapposizione tra vita attiva e contemplativa come spesso è interpretato, narra una rivoluzione culturale e religiosa portata da Gesù nel decidere di esercitare il ministero rivolgendosi a donne come ad uomini, avere discepole e non solo discepoli.
Dall’altra parte della scena c’è Marta. Ella chiede al Signore d’intervenire verso sua sorella per farle dare una mano nei servizi. Marta si sta dando da fare per accogliere Gesù, ma il suo zelo sconfina nell’inquietudine e nella preoccupazione.
Gesù, al contrario, la invita dolcemente a non lasciarsi vincere dalla preoccupazione, ossia dall’agitazione che impedisce l’ascolto e l’accoglienza. Agitarsi, preoccuparsi comporta togliere attenzione all’altro. Sia chiaro: Gesù non la condanna perché lavora, ma la mette in guardia dal lasciarsi prendere dall’affanno, fino a dimenticare la sua presenza.
Quante volte anche noi cadiamo in questo errore lasciando che la frenesia del lavoro e gli affanni della vita c’impediscano di guardare in faccia mariti, mogli, figli, amici, colleghi, e di ascoltarne il cuore.
Gesù invita a occuparsi, non preoccuparsi; lavorare, non agitarsi; servire, non correre.
Don Michele Fontana