Il primo giorno feriale d’Avvento il Vangelo mostra lo spirito con cui incamminarsi verso il Natale (Mt 8,5-11).
Lo fa narrando l’incontro di Gesù in Cafàrnao con un centurione che lo scongiura di intervenire nei confronti del servo paralizzato e sofferente. Il Signore annuncia che andrà di persona a guarirlo; il soldato risponde: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito“. Gesù loda la fede del centurione e concede la grazia.
Come dicevamo, il brano è proposto per rivelare con quali sentimenti introdursi nel percorso dell’Avvento.
Innanzitutto è suggerita l’umiltà di riconoscersi peccatori. Ciò richiede fare un esame di coscienza per dare volto e nome ai propri peccati e ai lati oscuri del proprio carattere. Scoprirsi peccatori comporta riconoscersi non degni di accogliere Gesù nella propria casa.
Questa consapevolezza, tuttavia, rimane incompleta se a essa non si aggiunge la seconda parte della professione di fede del centurione: “Di’ soltanto una parola“.
Chi di noi può reputarsi degno che Gesù entri nella sua casa (cuore, vita, famiglia, amicizie, dimora fisica dove abita)?
Il centurione però insegna che basta una sola parola di Gesù per purificarci. È la parola dell’Assoluzione: “Io ti assolvo“.
All’inizio dell’Avvento viene, dunque, proposto di avere la stessa fede del centurione; fare un attento esame di coscienza; riconoscere i peccati e i vizi che ci rendono indegni di accogliere il Signore e la sua benedizione; chiedere a lui di sanarci con la parola nell’Assoluzione.
Don Michele Fontana