Un sabato, giorno di riposo per gli ebrei, Gesù entra nella sinagoga di Nazareth e si mette a insegnare (Marco 6,1-6).
Molti, ascoltando, rimangono stupiti e si domandano da dove gli venga tanta sapienza, visto che ne conoscono le umili origini. Per questo motivo lo stupore si trasforma in scandalo, tanto che Gesù risponde con la celebre frase: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria“.
E si meraviglia della loro incredulità.
I fedeli della sinagoga ammirano con stupore l’insegnamento di Gesù, ma il pregiudizio nei confronti della sua famiglia impedisce loro di passare dallo stupore alla fede.
Il racconto evangelico, quindi, narra di due diversi stupori: da una parte quello dei concittadini di Gesù che ne ammirano la sapienza; dall’altra quello del Signore stesso nel constatare la non volontà di passare alla fede. Sta proprio qui, dunque, ciò che il Signore rimprovera loro: l’incapacità di trasformare la meraviglia in fede.
Credo che spesso lo stesso rimprovero Gesù lo rivolga anche a noi.
Quante volte, infatti, siamo capaci di stupirci ammirando la bellezza del creato, il cinguettio degli uccelli, i colori di un tramonto, lo spettacolo di un panorama; quante volte rimaniamo affascinati da gesti d’amore, semplici sorrisi, affettuose carezze, atti di tenerezza, espressioni di bellezza e bontà disseminati nella nostra vita; quante volte ci sentiamo conquistati dalla vita dei santi, dal sacrificio dei martiri della porta accanto (genitori, nonni, mogli, mariti, lavoratori, ammalati, ecc.), dalla gioia dei ragazzi o dall’entusiasmo dei giovani.
Eppure siamo spesso incapaci di trasformare quello stupore in fede nel Signore, che è al di sopra, al di là, e dentro ognuna di quelle esperienze.
Forse quest’incapacità è dovuta anche nel nostro caso a pregiudizio?
Allora è il caso di chiederci: Quali pregiudizi c’impediscono di credere?
Don Michele Fontana