Il Vangelo di oggi ci riporta ai giorni precedenti l’ultima Pasqua vissuta da Gesù, quando oramai i sommi sacerdoti avevano preso la decisione di condannarlo a morte.
Si trovavano a Gerusalemme alcuni greci che avevano sentito parlare di Gesù e desideravano conoscerlo.
Si avvicinarono a Filippo, discepolo con un nome greco proveniente da Betsaida, città abitata da molti greci.
Gli chiesero: “Vogliamo vedere Gesù”.
Incontrare pagani nella città santa da parte di un rabbì non era conforme alla Legge, non rispettava le regole di purità.
Filippo, titubante, andò a riferirlo ad Andrea (l’altro discepolo dal nome greco), il primo chiamato alla sequela secondo il quarto Vangelo; poi, insieme, decisero di presentare la richiesta a Gesù.
Egli, ascoltandoli, vide in quel desiderio una profezia.
La sua vita stava per volgere alla fine in modo tragico. Eppure proprio la morte, e quel modo di morire, conserveranno una fecondità inaudita come il chicco di grano, come il seme che deve calarsi nell’oblio della terra e lasciarsi marcire per far esplodere la vita.
Così Gesù insegna anche a noi che possiamo far esplodere vita e benedizione in ogni persona e in ogni realtà se siamo disposti a seminare in quel terreno il chicco dell’amore.
Questa, d’altro canto, è l’opera della carità: immergere nella vita dell’altro il seme del proprio tempo, delle proprie attenzioni, delle proprie azioni, perché faccia rinascere speranza e gioia.
Don Michele Fontana