Oggi si celebra la festa di S. Giovanni, apostolo e autore di alcuni libri del Nuovo Testamento, come il Vangelo e tre Lettere.
La liturgia lo ricorda attraverso la narrazione della sua esperienza, fatta con Pietro, il giorno della Risurrezione (GV 20,2-8). Non appena i due ascoltarono l’annuncio di Maria di Magdala, corsero verso il sepolcro. Giovanni, più giovane e più veloce, arrivò per primo, ma attese con rispetto Pietro. Entrambi si chinarono per entrare nel sepolcro!
Questa scena richiama alla mia mente un episodio che io stesso vissi quando feci visita alla Basilica della Natività in Betlemme. Chi vi si reca, infatti, scopre che il portale, che un tempo era alto cinque metri e mezzo e attraverso il quale gli imperatori e i califfi entravano nell’edificio, è stato in gran parte murato. È rimasta soltanto una bassa apertura di un metro e mezzo (chiamata porta dell’umiltà). L’intenzione era probabilmente proteggere la chiesa contro gli assalti ed evitare che si entrasse a cavallo. Il risultato è che chi oggi desidera accedere in quel luogo sacro, deve chinarsi.
Sia per entrare nel mistero della risurrezione (come avvenne a Pietro e Giovanni), sia per entrare nel mistero della nascita del Figlio di Dio (come avviene ai pellegrini in Betlemme), bisogna chinarsi, abbassarsi.
Un atteggiamento del corpo dal significato fortemente simbolico!
Se vogliamo trovare Dio; se vogliamo ascoltarne la voce e accoglierla dobbiamo chinarci.
La superbia non fa incrociare lo sguardo di Dio, perché lui guarda con gli occhi dei piccoli;
l’arroganza non fa incontrare l’amore di Dio, perché lui ama con il cuore dei deboli;
la presunzione non fa penetrare la mente di Dio, perché lui illumina con la semplicità degli umili.
Don Michele Fontana