L’interprete, specialmente in campo musicale, traduce con un proprio spirito ciò che il compositore ha scritto, perché risuoni bello e perfetto artisticamente. L’opera musicale esiste fintanto che venga interpretata, e dunque finché ci sia un interprete.
Il buon interprete è animato da grande umiltà dinanzi all’opera d’arte, che non gli appartiene. Cerca sempre di formarsi e di trasformarsi interiormente e tecnicamente, per poter offrire la bellezza della musica.
È chiamato a sviluppare una propria sensibilità e un proprio genio, sempre al servizio dell’arte e della comunità.
L’interprete musicale ha molto in comune con lo studioso della Bibbia, con il lettore della Parola di Dio; in senso più lato con coloro che cercano di interpretare i segni dei tempi; e ancora più in generale con quanti – dovremmo essere tutti – accolgono e ascoltano l’altro per un dialogo sincero.
Ogni cristiano infatti è un interprete della volontà di Dio nella propria esistenza, e con essa canta con gioia a Dio un inno di lode e di ringraziamento.
L’interprete, come l’artista, esprime l’Ineffabile, usa parole e materia che vanno al di là dei concetti, per far capire quella sorta di sacramentalità che è propria della rappresentazione estetica.
C’è un dialogo. Perché seguire un’opera d’arte non è qualcosa di statico, di matematico. C’è un dialogo tra l’autore, l’opera e l’interprete. È un dialogo a tre. E questo dialogo è originale in ognuno degli interpreti.
L’artista, l’interprete e – nel caso della musica – l’ascoltatore nutrono un medesimo desiderio: quello di capire ciò che la bellezza, la musica, l’arte ci permette di conoscere della realtà di Dio. E forse mai come nel nostro tempo gli uomini e donne ne hanno tanta necessità. Interpretare questa realtà è essenziale per il mondo di oggi.
Papa Francesco
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