“Amerai il prossimo tuo come te stesso” era un comandamento antico, scritto nella legge di Mosè e riproposto da Gesù.
Quando mi capita di citarlo, lo associo spesso a un aneddoto riguardante una visita a una nonnina per la Comunione del Primo Venerdì: mentre dialogavamo, mi accorsi che la signora riportava il comandamento a modo suo, in dialetto, cambiandolo con “Amerai il prossimo tuo comu esta esta” (Amerai il prossimo tuo così com’è).
Decisi di non correggerla perché, al di là dell’assonanza, mi sembrò che rendesse bene il significato: amare il prossimo così come è, qualsiasi sia la nazionalità, il colore della pelle, il credo religioso, la visione politica, l’orientamento sessuale, i pregi e i difetti, i vizi e le virtù, il passato e il presente, la famiglia e le amicizie.
Il comandamento, infatti, apre a una visione universale della fraternità.
Esso, tuttavia così come formulato ha bisogno di un’ulteriore specificazione, altrimenti rischia di essere frainteso in modo statico ed “egocentrico”, nel senso che potrebbe portare a pensarsi al centro degli eventi, per amare solo coloro che orbitano intorno (prossimi, appunto).
Per questo motivo Gesù nel Vangelo di oggi chiarisce ulteriormente il pensiero di Dio mediante la famosa parabola del Buon Samaritano con cui insegna che, chiunque si trovi in difficoltà dobbiamo farlo diventare “prossimo”, avvicinandoci, dedicandogli tempo e risorse, toccandolo, parlando con lui.
C’è un prossimo da amare quando noi ci facciamo prossimi a lui, senza far finta di niente, senza girarci dall’altra parte.
L’amore o è concreto o non è amore.
Don Michele Fontana.