“Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me“.
Questa pretesa di Gesù sentiremo risuonare nel Vangelo di domenica. Un’affermazione che sembra irricevibile perché contro la natura umana che rigetta la sofferenza.
Non vogliamo essere pedine sacrificali arruolate nell’esercito del masochismo. Non possiamo accondiscendere a un concione che arringa al dolore.
E difatti non è così!
Gesù, al contrario, invita a guardare con realismo la concretezza della vita dove amore e sofferenza sono perpetuamente impregnate l’una dell’altra.
I genitori sanno bene cosa stiamo asserendo. Quotidianamente sperimentano che l’acino succulento dell’amore puro, quello per i figli, si deve piluccare dal peduncolo dell’insonnia, delle lacrime nascoste, dell’ansia per il futuro, dell’apprensione per le malattie, delle preoccupazioni per le marachelle, dei timori per le più banali incomprensioni, dei sacrifici nascosti.
Se dunque è vero, com’è vero, che l’amore è intriso di sofferenza, Gesù invita a invertire l’enunciato e far profumare la sofferenza d’amore.
Certo, non chiede di desiderarla. Neanche cercarla. Dobbiamo fare di tutto per togliere la croce dalle nostre spalle e dalle terga degli altri.
Qualora, tuttavia, ciò non fosse possibile, accogliamo quella spina guardando alla rosa profumata che porta: un atto d’amore per il Signore; un’occasione di crescita personale (anche se al momento non capiamo in cosa); un’opportunità per far del bene agli altri.
Don Michele Fontana.