“Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso“.
Queste parole di Gesù aprono la lettura evangelica di oggi. Ascoltarle nel cuore dell’estate più calda, dell’anno più caldo mai registrato, genera di sicuro un notevole impatto nel nostro immaginario, rievocando scene d’incendi, pomeriggi afosi, strade assolate, stanchezza, spossatezza, sudore.
Certamente non è questo il simbolismo del fuoco che intende evocare Gesù.
Come ricorderemo, infatti, una delle metafore più incisive con cui la Sacra Scrittura descrive Dio è quella del roveto che arde e non si consuma, davanti al quale Mosè leva i calzari, e dal quale il Signore s’intrattiene a parlare con lui e incide i Comandamenti sulla pietra.
Un’immagine molto eloquente che rivela Dio come fuoco davanti al quale possiamo avvicinarci senza mai poterlo raggiungere, toccare, possedere.
Un’immagine che balbetta qualcosa dell’amore del Signore come passione che arde continuamente senza mai consumarsi e desidera propagarsi, da cuore a cuore, fino a incendiare tutta l’umanità.
Il fuoco che Gesù desidera portare sulla terra è, quindi, l’amore stesso di Dio: fiamma che ci è donata per ardere in noi e accendere la passione.
“Quanto vorrei che fosse già acceso!”.
Il rammarico di Gesù continua ad animare i suoi pensieri perché ancora oggi quell’amore rimane spento. Soprattutto nei suoi discepoli.
Noi cristiani dovremmo essere fuoco vivo che infiamma di carità la nostra vita e quella degli altri. Spesso, però, purtroppo siamo sopiti: il mondo ha bisogno di pace, e non la costruiamo; le persone hanno bisogno di speranza, e non la infondiamo; i cuori hanno bisogno di amore, e non lo viviamo; le viti hanno bisogno di fede e non la testimoniamo.
Manda, o Signore, una rinnovata Pentecoste sulla tua Chiesa.
Amen.
Don Michele Fontana