Il brano della liturgia di oggi ci presenta un episodio centrale per la vita di Giovanni Battista.
Si trova in carcere prima di essere condannato alla decapitazione per la richiesta di Salomè ed Erodiade. Lì lo raggiungono alcuni suoi discepoli e gli parlano di Gesù, da lui stesso indicato al mondo come l’atteso Messia. Sicuramente riportano anche qualche loro dubbio perché non lo vedono attuare l’imminente castigo di Dio.
Per aiutarli a superare queste difficoltà, Giovanni manda due di loro direttamente all’interessato per chiedergli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”.
Gesù non risponde direttamente. Almeno non con discorsi apologetici. Preferisce invitarli a trovare essi stessi una risposta guardando la sua vita, leggendo le sue opere: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia”.
Se vogliono sapere se Gesù è il Messia di Dio, lo devono dedurre dalle sue opere: sono esse che rivelano la natura e la missione di un uomo.
Gesù è l’atteso inviato di Dio perché ogni parola delle profezie si compie in Lui.
Dai fatti all’identità. Chi siamo veramente, e non chi pensiamo di essere o vorremmo mostrare di essere, è inevitabilmente rivelato dalle nostre opere, dai nostri gesti, dalle nostre scelte, dai nostri discorsi, dal nostro linguaggio.
Possiamo illuderci di nascondere a noi o agli altri i segreti celati nel nostro cuore, le intenzioni più nascoste nei nostri pensieri, ma il tempo e la vita prima o poi svelano ogni cosa.
Don Michele Fontana