Nel Vangelo di Matteo sono riportati due miracoli di moltiplicazione dei pani: nel primo Gesù sfama cinquemila uomini con cinque pani e due pesci, e rimangono dodici sporte piene di pezzi avanzati; nel secondo dona da mangiare a quattromila uomini con sette pani e “pochi pesciolini“, e rimangono sette cesti colmi.
La Liturgia di oggi propone la proclamazione di questo secondo miracolo, che è introdotto con una panoramica generale:
“Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati”.
In queste parole vediamo l’icona, suggestiva e drammatica, dell’umanità ferita dalla sofferenza fisica, spirituale, sociale, economica.
La scena ci immerge nella nostra storia che, a volte, sembra impastata di dolore.
Se leggiamo con attenzione scopriamo che nella folla vi sono sani e malati, e che i primi portano gli altri (“recando con se”). La sofferenza a volte si presenta come un labirinto, un groviglio di strade senza uscita. La scena evangelica, invece, è attraversata dalla luce. Quella folla si reca dal Signore perché sa di poter bussare alla porta della sua misericordia: “li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì”.
In quella folla ci siamo noi, a volte sani a volte malati, invitati ad andare da Gesù non da soli, con le nostre sicurezze o paure, ma insieme agli altri, facendoci carico gli uni degli altri, “supportandoci” e “sopportandoci” a vicenda. Chi cammina da solo non incontra Gesù.
Nella narrazione cogliamo un invito al sostegno reciproco cui Gesù richiama sentendo compassione nel vedere la fede e la solidarietà di tanta gente:
“Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà”.
Avrebbe potuto fargli passare direttamente la fame; avrebbe potuto far trovare a ciascuno qualcosa da mangiare; avrebbe potuto smuovere il cuore di qualcuno perché offrisse il necessario per tanta gente. E invece ha scelto la via della condivisione del piccolo.
Così ha insegnato che nessuno può pensarsi così povero da non condividere il suo “poco” perché egli lo benedica e lo trasformi in segno e strumento della sua provvidenza.
Don Michele Fontana