Con la domenica odierna si conclude l’anno liturgico; e come da tradizione lo si fa con la solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo.
Il titolo richiama la figura biblica di Davide, il re per antonomasia d’Israele, cui la tradizione attribuì anche l’immagine del pastore.
Gesù infatti, superando gli schemi sociali, avoca a sé il simbolismo regale, precisando che il suo “regno” non è di questo mondo, non si estende su territori geografici, e non si esercita secondo le modalità mondane. D’altronde, ogni volta che l’hanno cercato per farlo re, è fuggito: per lui “essere re” significa non essere servito, ma servire al modo del buon pastore: amando, radunando, curando, proteggendo, donando la vita per ogni singola “pecora”.
La pagina del Vangelo che ascolteremo è contestualizzata nel giorno del giudizio universale in cui avverrà un rovesciamento delle situazioni terrene, come nella parabola del fariseo e del povero al tempio; come nel Magnificat; come per gli invitati che scelgono i primi posti a tavola; come per il povero Lazzaro e il ricco epulone.
La parabola del Giudizio Universale, infatti, spiega che alla fine della storia i non credenti e gli atei paradossalmente rischiano di passare avanti a tanti fedeli che si sono illusi di vivere una religiosità vuota.
Molte persone non propriamente devote, ma che hanno vissuto la carità concreta, facendo del bene a chi hanno incontrato in difficoltà nella loro vita, infatti, si renderanno inaspettatamente conto di aver servito Gesù, senza saperlo.
Tanti credenti, al contrario, scopriranno amaramente che il giudizio non verterà sugli atti di culto, i pellegrinaggi, le preghiere, i rituali fatti apparentemente “a gloria di Dio” (ma che in fondo servivano per la “propria” gloria).
Tutti saremo giudicati unicamente sull’amore.
Don Michele Fontana