“Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
Queste parole, presenti solo nel Vangelo di Luca, oggi si rivolgono a noi nella proclamazione liturgica.
Il termine greco “inutili” (αχρειος), inserito nel testo, ha due sfumature di significato:
– può indicare innanzitutto “inutilità”, non produttività;
– può significare anche essere “poveri”, vili.
In quest’ultimo caso la traduzione potrebbe essere: “siamo vili servi”, “siamo poveri servi”. Ciò a sottolineare non tanto una povertà morale, e nemmeno materiale, quanto la condizione umana, vale a dire: “siamo semplicemente servi”.
In tal senso l’espressione utilizzata da Gesù tenderebbe a sottolineare che “servire” non è qualcosa che si aggiunge alla condizione umana, come un possibile merito, come una realtà superflua ed accidentale.
Una persona che non serve, non serve!
Chi non “serve”, cioè non si mette a servizio del Signore negli altri e degli altri preso il Signore, non “serve”, non può essere utile né a sé, né agli altri; fallisce la sua stessa identità; perde la sua vita e se stesso.
Sentire che Gesù invita a considerarci “inutili”, improduttivi, inoltre, solleva nella mia mente e nel mio cuore un turbinio di sentimenti, in un contesto in cui in tanti, soprattutto politici, amministratori e scienziati, classificano con spiazzante cinismo gli anziani come “non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”, e quindi i primi a poter essere sacrificati, “scartati”.
Beh, fortunatamente, al contrario, ciò che è inutile agli uomini, è al centro del cuore e delle attenzioni di Dio.
Don Michele Fontana