La parola umiltà porta con se il profumo della rorida terra riflessa negli occhi fiduciosi dei contadini.
Trae origine, infatti, dal latino “humus“, che significa suolo, terreno, e indica la caratteristica di chi appartiene alla terra, è socialmente basso, umanamente infimo, sottomesso.
Nel Vangelo di questa domenica Gesù lega l’umiltà al cuore e l’appaia con la mitezza, elevandola al rango di virtù che associa a lui.
“Imparate da me, che sono mite e umile di cuore“.
L’umiltà impone il riconoscimento della propria umanità, la consapevolezza di essere fatti di terra (humus), impastati di limiti, difetti, sbagli. Non cela, tuttavia, anche la realistica percezione delle proprie qualità, caratteristiche e abilità.
L’umiltà del cuore, come l’ago della bussola, indica tenacemente il nord della nostra umanità. Ricorda che terra siamo. Ma rammenta nello stesso tempo che questa nostra terra è humus, terreno fertile, e per questo adatto ad accogliere e far germogliare vita.
Essere umili non significa disprezzarsi, annullarsi, farsi schiacciare, piangersi addosso, sentirsi sottomessi.
È umile chi, molto realisticamente,
sa di essere terra, ma altrettanto realisticamente riconoscere che ciò di cui è impastato, le fragilità e i punti di forza, le cadute e le rialzate, sono terreno ferace in cui il Signore pianta il seme della grazia.
Se solo da lui si lascia coltivare!
Don Michele Fontana